La cenere proiettata in aria con l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull nell’aprile 2010 era davvero in grado di creare problemi di sicurezza agli aeroplani di linea. Secondo uno studio pubblicato in questi giorni su PNAS (Proceeings of the National Academy of Sciences) dall’Università di Copenhagen, infatti, le polveri in questione sono molto resistenti e abrasive. I vulcanologi islandesi Sigurdur Gíslason e Helgi Alfredsson ne hanno raccolto alcuni campioni per fare dei test non appena è iniziata l’eruzione di Eyjafjallajökull. Una seconda raccolta è stata effettuata dopo 12 giorni di attività del vulcano. Le hanno quindi spedite a Susan Stipp, geologa dell’Università di Copenhagen, che nel suo laboratorio studia il comportamento delle ceneri nell’ambiente.
I risultati dello studio riguardano le caratteristiche fisiche di queste polveri: dopo l’eruzione le polveri venivano coperte da sali di gas condensati contenenti cloro, fluoro e arsenico. In acqua i sali che ricoprono le polveri si sciolgono e la inquinano, e questo è effettivamente accaduto dopo i primi giorni di eruzione in Islanda, nei quali si è avuta l’inondazione della zona limitrofa al vulcano. Inoltre gli studi dimostrano che le polveri vetrose rimangono pressoché intatte con i loro margini appuntiti anche dopo due settimane in acqua e sbattendo le une sulle altre. Le più resistenti sono quelle raccolte subito dopo l’inizio dell’eruzione (vedi immagine). In maniera indiretta questo ci fornisce delle informazioni sulla loro enorme resistenza e sul pericolo di abrasione su carlinghe e motori degli aerei. Il blocco del traffico aereo sarebbe stato quindi del tutto giustificato nel caso dell'eruzione islandese, anche perché la temperatura di fusione delle ceneri è stata riscontrato essere più bassa di quella presente nei motori aerei, con il rischio che le polveri si sciogliessero a contatto con questi ultimi.
Inoltre queste polveri spesso si agglomerano, falsando i dati sulla reale quantità di polveri sottili dannose per i polmoni. Questo dato è stato sia rilevato dallo studio su PNAS che da un nuovo report pubblicato su Geology da Jacopo Taddeucci dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia italiano. Secondo quest’ultimo infatti gli agglomerati di polveri una volta raggiunto il terreno si frammentano in porzioni più piccole, più dannose e con maggiore dispersione di sostanze chimiche nell’ambiente.
Questi studi sulle ceneri vulcaniche possono aiutare a prendere decisioni delicate quando si verifichino nuove eruzioni. Susan Stipp, in un’intervista ammette che fino ad oggi non esisteva nemmeno un protocollo da seguire per studiare in velocità le caratteristiche delle ceneri e prendere delle decisioni sul traffico aereo, il suo team adesso ne ha sviluppato uno ad hoc. Potranno beneficiarne altri paesi, come l’Ecuador che a fine aprile ha visto la riattivazione del vulcano Tungurahua. Altre eruzioni sono in corso su tutto il globo, potete leggerne notizie sul bollettino dello Smithsonian GVP records (Global Volcanism Program).